Vogliamo un mondo migliore? Evitiamo di "comprarci" le opinioni altrui!
Negli ultimi anni l’espressione “libertà di parola” ha acquisito un nuovo significato, molto vicino al diritto che sembra pervadere chiunque, di esprimere la propria opinione, soprattutto se non richiesta, senza dover giustificare la motivazione del proprio pensiero, la fonte da cui scaturisce, le riflessioni ed i fatti che hanno portato alla formulazione di quel costrutto.
Sembra che grazie ai social, ci si senta autorizzati a dar voce alle opinioni più spregevoli (razzismo, misoginia, omofobia ecc.), supportati spesso da slogan che incitano alla discordia diffusi dai media, senza essere più sfidati a spiegare il perché della propria posizione, cito ad esempio il più recente “sardine” di Salvini, il “Make America Great Again” di Trump, i vari “Anglosfera” relativi al tema Brexit.
Se ci fermiamo a riflettere sulla semantica delle terminologie utilizzate, altro non sono che gusci vuoti senza un chiaro significato, chiavi mantriche (passatemi questo neologismo, ammesso che lo sia), che scoraggiano le riflessioni ed i pensieri ed evitano i fatti, facendo rinunciare “i più”, in particolare chi è meno dotato di risorse tangibili ed intangibili, a formulare una propria posizione ideologica in merito a qualsiasi evento sociale, economico, politico, che riguardi il nostro bel Pianeta.
Gli slogan sono armi perfette contro la verità, sappiamo bene noi persone d’azienda, e vanno ad agire proprio sulle emozioni più basse. Gli esperti di comunicazione ne sono ben consapevoli.
Si tratta di processi conosciuti e cosiddetti “evidence-based”: è sufficiente prendere un insieme di individui delusi, con sentimenti di rabbia, sostenere di comprendere empaticamente ciò che stanno “passando”, si offre loro un bersaglio a cui indirizzare la propria rabbia e li si persuade a “non pensare”, attraverso degli slogan accativanti; sostenendo che chiunque li costringa a motivare le riflessioni che stanno dietro a quella precisa presa di posizione, sta solo soffocando il loro di diritto di opinione.
Molti di Voi si staranno chiedendo il motivo per cui un sito che si occupa di Coaching ed Empowerment di persone ed organizzazioni, scriva oggi di etica socio politica e di persuasione da slogan. Questa è riflessione nata dopo aver letto il libro di James O’Bryan, “How to be right”.
La realtà è che prima di tutto questi sono proprio temi di Coaching, di realtà percettiva, di comunicazione ed empowerment, anzi, nella fattispecie e nei contenuti specifici esposti, si tratta di Dis-Empowerment (ripassatemi lo pseudo-neologismo, ammesso che lo sia anche questo).
Tra le tante attività del Coaching e tra le fasi della metodologia, è menzionata la maieutica socratica, che potremmo riassumere in modo semplice, come l’arte del fare domande cosiddette “potenti”, che altro non sono che domande che stimolano una riflessione autentica nelle persone.
É esattamente questo il punto in cui l’essenza del Coaching e dell’Empowerment incontrano i fenomeni sociali, economici e politici che pervadono la nostra quotidianità: nel porsi le domande giuste; nel “costringersi” sempre a darsi una spiegazione totalmente personale, che stimoli la curiosità di andare a formarsi ed informarsi, a costruirsi un proprio pensiero critico su qualsiasi evento, personaggio, fenomeno, corrente culturale.
Evitare di “comprarsi” l’opinione altrui, oggi, ancor di più quando tale opinione è diffusa dai media, con scopo persuasivo, è diventata un’attività alquanto ardua e lo sarà sempre di più.
Tutte le società si stanno attrezzando con modelli complessi di Behavioural Profiling, una scienza che sta sotto la lente della Psicologia e dell’Economia, che ha il preciso scopo di permeare i nostri bisogni più intimi, e “aiutarci a riconoscerli” , per indurci a comportamenti d’acquisto.
Volendo essere ottimisti, l’incrocio dei Big Data ci porta a consapevolizzare di non riconoscere i nostri bisogni a causa di filtri comportamentali che ne distorcono l’obiettività.
Ma è davvero questa la realtà? Come facciamo a sapere davvero che quel bisogno è davvero nostro, autentico, spontaneo?
Una grande responsabilità in questo contesto ce l’hanno i media; e l’unica vera soluzione sarebbe una loro totale trasformazione, con l’obiettivo di far pensare attraverso “domande potenti”.
Ma la visione in cui media e fonti d’informazione in generale diventino la bocca della verità, sembra oggi un’utopia.
E se i media questa responsabilità sociale non vogliono prendersela, perché nella maggior parte dei casi manovrati proprio da chi ha interesse nel fare in modo che ciò non avvenga, rimane solo una soluzione: far partire da sé, la cultura delle “domande potenti”. Come singoli individui possiamo fare tantissimo!
Cominciamo a porci domande e a mettere in discussione, sotto una luce costruttiva, qualsiasi cosa ci capiti davanti agli occhi, cominciamo a pensare di vedere la stessa cosa sotto vari punti di vista. Ricominciamo a costruire nella nostra mente le realtà desiderate immaginando situazioni scevre da condizionamenti, slogan, costrutti sociali che non ci sentiamo cuciti addosso.
In quel momento, cominceremo ad osservare un processo di sviluppo di pensiero critico, con riflessioni a catena che portano a scoprire parti più autentiche di noi, generative di comportamenti allineati ai nostri valori e reali interessi.
Immaginate ora se ciascun abitante di questo Pianeta attuasse questo processo semplice e lineare. Sarebbe o no un mondo migliore?
Se volete approfondire il tema dell’ Empowerment, del Coaching , delle Scienze Comportamentali e del Behavioural Profiling scrivete a: info@humanev.com